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GOAL 5. Il riconoscimento delle donne anche nelle STEM

Le Nazioni Unite hanno fissato 6 sotto obiettivi [1], per il Goal 5, che fanno riferimento alle principali questioni aperte sul tema della parità di genere: varie forme di discriminazione, violenza psico-fisica in casa e fuori, pratiche, ancora frequenti in alcuni Paesi, di matrimoni combinati (di minori) e MGF, riconoscimento del lavoro domestico non retribuito e accessibilità della partecipazione femminile in ogni ambito e a qualsiasi livello decisionale.

Il fatto che sia stata inserita tra gli obiettivi sui quali devono lavorare Stati, imprese e cittadinanza è eloquente della mancanza di passi in avanti su questo fronte prima del 2015, dopo oltre 150 anni dall’ingresso delle donne nel mondo del lavoro.

Se eravamo già lontani dal raggiungimento dell’obiettivo di per sé al 2030, l’arrivo della pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che rafforzare questo gap, in particolare circa la questione delle donne occupate nel mondo del lavoro fuori casa. Secondo i dati [2] pubblicati dall’Istat a dicembre 2020, delle 101.000 persone che hanno perso il lavoro in questo mese, il 98% appartiene al genere femminile, nonostante il blocco dei licenziamenti.

Uno degli ambiti verso cui anche le donne occupate faticano ad orientarsi [3], già da ragazze nel momento della scelta sulle facoltà universitarie in cui laurearsi, è lo STEM (acronimo di Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Le facoltà scientifiche italiane attraggono molto le studentesse residenti all’estero. Il 28% delle donne di nazionalità non italiana iscritte all’università frequenta corsi di Laurea STEM. I dati che rilevano il coinvolgimento delle donne STEM non sono incoraggianti: ad oggi, in Italia, 12 donne su 1000 sono laureate in discipline scientifiche. A livello europeo, l’Italia si posiziona sopra i dati di media sia per quanto riguarda la percentuale di ragazze che scelgono corsi STEM sul totale delle iscritte (17% vs 16%) che per la percentuale delle ragazze sul totale degli iscritti alle facoltà scientifiche (36% vs 31%). [4]


E una volta entrate nel mondo del lavoro? Nonostante le loro performance universitarie siano migliori rispetto a quelle degli uomini, si trovano comunque a vivere una forte condizione di gender pay gap e di sviluppo di carriera. Una donna su cinque è manager ma guadagna il 25% in meno rispetto a un uomo che ricopre lo stesso ruolo [5].

Un esempio concreto in Italia

In Italia SheTech, associazione non profit guidata da donne, si pone l’obiettivo di colmare il gender gap nel mondo della tecnologia, del digitale e dell’imprenditoria. Questo attraverso attività di networking, empowerment e formazione grazie al supporto di aziende e altre realtà sensibili alle tematiche di diversità e inclusione. Attualmente l’associazione ha circa 400 associati (93% donne e 7% uomini). Il fatto che l’associazione sia aperta anche al genere maschile è l’elemento che loro reputano differenziante. Non si può veramente parlare di parità di genere se il tema non è trattato sia da donne sia da uomini. Le attività che organizzano sono: formazione tech e digital con corsi pratici su tematiche legate ai trend digitali; networking per connettere i membri della community e le loro esperienze e competenze; empowerment per eliminare degli stereotipi di genere nel mondo tech e digital, valorizzare le role model e supportare le donne nella crescita professionale ma anche personale. Inoltre sono attive nel supporto alle startupper donne fornendo loro occasioni di formazione e networking.

Una delle attività che si può seguire anche se non si è associate è su Instagram o Spotify (in versione podcast): la SheTech Breakfast, un evento in diretta su Instagram di massimo un’ora che si tiene al venerdì mattina per discutere con esperti dei settori su come affrontare la crisi e pianificare il futuro e cosa siano cyber security e data science. di Ylenia Esther Yashar


Fonti

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