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La lotta allo spreco diventa business e tutti ci guadagnano


Inspire and empower everyone to take action against food waste.

Una mission particolarmente ambiziosa per il neo-nato team italiano di To Good To Go, un’impresa che ha fatto della lotta allo spreco il suo core business e che non ha come unico obiettivo il profitto ma va uno step oltre, proponendosi anche come movimento per combattere lo spreco di cibo.

Ogni anno infatti si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che non vengono consumate e che finiscono nel cestino perché non possono essere rivendute il giorno dopo [1]. To Good To Go affronta la tematica degli invenduti in una maniera innovativa e vincente per tutti.

Incontro Michele Martinotti, head of marketing di To Good To Go.


Com’è nata TO GOOD TO GO?

To good to go è nata nel 2015 come un sito informativo ma l’app vera e propria nasce nel 2016 in Danimarca da 3 ragazzi danesi che si resero conto dell’enorme quantità di cibo che veniva buttata dopo l’orario del brunch. Molto è cambiato con l’arrivo di Mette Lykke (l’attuale CEO), una donna importante nella scena tech danese (perché già fondatrice di Endomondo, un’app per il fitness). I primi Paesi in cui l’app è stata aperta sono stati Danimarca, Francia, Norvegia, UK, Germania… dal 27 marzo 2019 To good to go è arrivata anche in Italia.

L’app permette di comprare l’invenduto da bar, pasticcerie, ristoranti ad un prezzo molto accessibile. Il suo utilizzo è molto semplice: si cercano sulla mappa gli store nelle vicinanze e si fissa il ritiro in una finestra temporale. Quello che si acquista è una “Magic Box”, cioè dei sacchetti a sorpresa il cui contenuto è oscuro al consumatore e al ristoratore.

Il sistema prevede che il consumatore finale paghi prima di vedere il contenuto della magic box. Il vantaggio sta nel prezzo, tra i 2 e i 6 euro per una Magic box, pari al 30% del cartellino, per un risparmio complessivo del 70%.


Quando siete approdati in Italia quali sono state le principali sfide?

Quando si apre un’app sul food in un Paese come l’Italia bisogna fare i conti con alcune barriere culturali importanti:

- Gli invenduti possono essere visti come avanzi e scarti. C’è ancora una certa diffidenza verso il cibo invenduto anche se qualitativamente è ancora intatto e di ottima qualità. Questo cibo è lo stesso che mi verrebbe somministrato se io entrassi nel bar o nel ristorante poco prima della chiusura. Non si tratta di scarti, ma di facilitare la commercializzazione di cibo che potrebbe essere invenduto.

- In Italia ci sono momenti definiti di consumo per il cibo. Differentemente dall’estero dove non c’è una cultura con un orario specifico per il pranzo, in Italia pochissimi ordineranno un panino alle 4 del pomeriggio, mentre all’estero si può anche cenare alle 4 del pomeriggio…

Nonostante questi due aspetti finora l’Italia è stato il lancio migliore nel brevissimo termine a livello di consumatori e di utenti. Siamo già a 50 mila utenti solo su Milano. Poi apriremo altre città come Torino, Bologna ecc… Ci servirà poi una base al Centro Sud. Qui il tema dello spreco è ancora più forte a livello culturale, ma vediamo tanto entusiasmo per questo progetto.


Chi è la vostra tipologia di utente?

La nostra forbice di utenti è molto larga, tendenzialmente ci sono 2 tipologie di acquirenti: studenti universitari (18- 25 anni), young professionals (25- 34), a cui si aggiungono giovani con famiglia e una fascia crescente di over 34.


Quale è il vostro modello di business?

Il nostro modello di business prevede che ciascuno ci guadagni: il ristoratore ha un reddito aggiuntivo e addizionale, mentre il consumatore ha un pasto a un prezzo davvero accessibile. L’intero sistema riduce gli sprechi.


Perché un ristoratore dovrebbe sposare la causa di Too Good To Go?

Per i ristoratori oltre ad avere un reddito addizionale, To Good To Go offre una presenza online (soprattutto ai piccoli ristoratori e alle botteghe di quartiere) e un’impronta green che possono dare al business. Diventano dei waste warriors e lottano contro gli sprechi alimentari con una storia da raccontare ai propri clienti. To Good To Go inoltre non cannibalizza i guadagni dello store ma li incrementa. La fee di subscription è piccola da parte del ristoratore e non c’è nessun tipo di commitment, perché viene scalata dai ricavi che avrà.

La maggiore obiezione dei ristoratori è che non hanno sprechi, per altri invece c’è una diffidenza iniziale, ma quando capiscono i vantaggi del modello lo adottano. Ciò che segna il confine tra chi vuole utilizzare To Good To Go e chi no: è spreco - non spreco.



Quale è stata la vostra prima partnership?

Uno dei primi è stato Odoroki e poi si sono aggiunte le catene della grande distribuzione come Carrefour, Eataly.


Quali sono i vostri principali competitor?

A livello globale c’è Karm che fa qualcosa di molto simile ma non sono attivi in Italia. Mentre altre app simili sono Last minute sotto casa (di Torino) e My Foodie che lavora con la GDO. Il tema vero è che noi cerchiamo di fare leva su lavorare a un movimento vero e proprio: "The food waste movement", il vero movimento antispreco. Vogliamo creare campagne di sensibilizzazione che vanno oltre la parte di value chain perchè tanti sprechi avvengono a livello domestico e produttivo. C’è una parte di sensibilizzazione dei privati cittadini e della politica che può fare molto per cambiare le cose. Un piccolo esempio è l’iniziativa che abbiamo avviato in Danimarca con Unilever, Carlsberg e altri produttori: all’etichetta best before (da consumarsi preferibilmente entro il…) abbiamo aggiunto un’ulteriore dicitura: Da consumarsi preferibilmente entro il…. Spesso buono oltre il per sensibilizzare i consumatori ad andare oltre.

Ci piace fare partnership e lavorare a 360 ° per portare avanti la nostra mission: Inspire and empower everyone to take action against food waste.

Questo ci differenzia dai competitor.


[1] SAVE FOOD: Global Initiative on Food Loss and Waste Reduction, source: www.fao.org/save-food/resources/keyfindings/en/

RIFERIMENTI:

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