L’Edelman Trust Barometer [1] del 2020 ha rilevato che quasi i due terzi delle persone intervistate hanno dichiarato di volere che i CEO assumessero la guida del cambiamento politico, anziché aspettare l’intervento dello Stato (che ad oggi, a livello di fiducia, si trova significativamente sotto rispetto all’impresa) [2].
Questo suggerisce il fatto che la nostra fiducia è principalmente riposta sulle imprese e in particolare su chi le dirige.
A ciò si aggiungono studi e analisi che dimostrano come la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012), sia più focalizzata delle generazioni precedenti sulle azioni che compiono i brand per risolvere i problemi più sentiti a livello globale (come il cambiamento climatico e i diritti civili). In questo senso sempre più importante è il purpose delle aziende, ovvero il loro fine ultimo e la volontà di affermarsi aderendo a iniziative di bene comune.
Cosa succede se i valori dell’impresa non sono allineati con i valori dei clienti, dei dipendenti e di altri stakeholder? Un simile disallineamento, nel contesto odierno, mina la continuità del business.
Come può fare l’azienda per evitare il disallineamento? In questo contesto trova spazio il cosiddetto Brand Activism.
Il Brand Activism [3] è un modello di business nel quale il perseguimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno dell’impresa in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale. In questa prospettiva, l’azienda non opera solamente come attore del mercato ma […] come promotrice dei processi di cambiamento che le più impellenti problematiche del nostro tempo richiedono.
Questo attivismo si pone come un'evoluzione naturale della Sostenibilità [4]. Mentre infatti la Sostenibilità, in molti casi, si “limita” ad iniziative aziendali che rispettino standard normativi, principi etici adottati su base volontaria che ne regolano l’impatto sociale e ambientale, (ma sempre entro un’ottica di massimizzazione del profitto, vedi schema sotto), nel Brand Activism l’intervento dell’azienda è finalizzato in primo luogo al soddisfacimento di esigenze sociali dal valore ‘più alto’, esterne alla produzione e al commercio.
Si distingue inoltre da pratiche affini quali il Cause Marketing, per la maggiore continuità delle iniziative a sfondo sociale e loro più profonda integrazione nella politica aziendale. Il brand purpose, in virtù di una maggiore enfasi sull’operatività rispetto alla semplice dichiarazione d’intenti [5].
All’interno del volume Brand Activism: From Purpose to Action di Christian Sarkar e Philip Kotler, vengono inoltre evidenziate quali siano i principali problemi globali. In particolare si fa riferimento ai “Malefici Sette” che sono Climate Change, disuguaglianza, estremismo, migrazioni, istruzione, corruzione, popolazione [6].
Ecco dunque che fare sostenibilità, quindi porre l’attenzione sul rispetto dell’ambiente, delle persone, della buona governance e dello sviluppo economico potrebbe non bastare più. È necessario un allineamento di valori, coinvolgimento e attivismo che dimostrino l’unione d’intenti per mitigare, in senso più pratico, i problemi più grandi e urgenti che la società deve affrontare.
[2] idibem
[5] ibidem
[6] Brand Activism: From Purpose to Action di Christian Sarkar e Philip Kotler IDEA BITE PRESS, novembre 2018
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