Un apri-cancello e una bustina di tè. Due oggetti “comodi”.
Ma cosa s’intende per “comodità”? Facilmente possiamo realizzare che non significa tanto risparmiare tempo, quanto piuttosto ridurre movimento.
In ogni momento della nostra giornata abbiamo l’occasione di muoverci, ma quanto spesso scegliamo l’alternativa più sedentaria, senza accorgercene?
Per comprendere facilmente il concetto di sedentarietà possiamo metterlo in relazione all’attività fisica: c’è molta differenza tra fare e non fare esercizio fisico per un’ora al giorno. Tuttavia, solitamente, chi fa esercizio per un’ora al giorno non fa esercizio per le altre ventitré ore
La nostra quotidianità è fatta di moltissimi momenti in cui esternalizziamo il lavoro del nostro corpo; più che sull’esercizio fisico, dovremmo quindi focalizzarci maggiormente sul movimento che compiamo in tutto l’arco della giornata.
I migliaia di banali movimenti esternalizzati al giorno, durante i ventitré/ventiquattresimi del nostro tempo, infatti, portano con sé il maggior potenziale per un cambiamento radicale. La sfida è acquisirne la consapevolezza.
Per evitare di camminare attorno alla macchina e arrivare al cancello, ruotare il polso per aprire la serratura o per evitare di prendere il colino da tè e poi pulirlo (in lavastoviglie?), accettiamo una quantità enorme di spazzatura, plastica, batterie e un grande consumo di energia elettrica.
Per evitare i movimenti più semplici, senza rendercene conto, facciamo sì che altri esseri umani, da qualche altra parte del mondo, lavorino senza sosta, distruggano ecosistemi, facciano guerre salariali…per la nostra comodità.
Essere sedentari è strettamente connesso al consumismo, al materialismo, al colonialismo e alla distruzione del pianeta[1].
Se non ci muoviamo, qualcun altro si muove per noi, direttamente o indirettamente, producendo oggetti che ci permettono di non muoverci. Siamo comodamente inseriti in una società e in una cultura sedentarie, dove non ci rendiamo conto di quanto la quasi totalità delle nostre abitudini lo sia a sua volta.
The world is our gym
Consapevoli di quanto detto, possiamo comprendere come anche quell’ora al giorno dedicata all’attività fisica possa, in qualche modo, portare il suo contributo.
Per farlo pensiamo alla differenza tra prendere l’auto per recarsi in palestra e uscire di casa a piedi, iniziando fin da subito a muoverci; tra l’ambiente chiuso, rumoroso, illuminato artificialmente e affollato della palestra e un parco, un bosco o una piazza, una strada poco trafficata; tra l’utilizzare macchinari artificiali che ci impongono programmi standard di esercizi e la possibilità di muoversi liberamente, secondo la propria natura, il proprio stato d’animo e la propria preparazione. Senza vincoli o limitazioni, potendosi guardare attorno e ammirare il paesaggio.
Tutto questo è alla base del Metodo Naturale di Georges Hébert (anche detto Hebertismo), un’alternativa olistica e sostenibile ai più o meno moderni approcci all’attività fisica che vi invito caldamente a scoprire con una semplice ricerca sul web.
Fermiamoci un secondo a riflettere: quali scelte di comodità abbiamo già compiuto oggi prima di aprire questo articolo?
[1] Katy Bowman – Movement Matters (essay on movement science, movement ecology and the nature of movement)
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