Esattamente una settimana fa abbiamo presentato il nostro ultimo eBook a tema diversità e inclusione sociale in un incontro online a più voci, la cui registrazione è disponibile a questo link. L’incontro è stato l’occasione per anticipare due contributi del nostro lavoro, a cura di Giorgia Martini e Giacomo Cassinese, ma anche per confrontarci con Massimiliano Monaci, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e della Fondazione ISTUD, che da tempo approfondisce il tema della responsabilità sociale d’impresa e del diversity management, sia attraverso progetti di ricerca sia in attività di consulenza organizzativa.
In particolare, abbiamo chiesto al prof. Monaci di aiutarci ad identificare alcuni criteri per capire se un’azienda sta affrontando il tema della diversità in maniera seria oppure se il suo impegno sul tema è, di fatto, marginale.
Il prof. Monaci ci ha suggerito 4, o meglio 2 + 2 indicatori utili a questo scopo.
Il primo riguarda la demografia interna: chi sono le persone impiegate in un’impresa?, vi è eterogeneità a livello di genere, età, background professionale?, a quali livelli? Rispondere a queste semplici domande ci permette di comprendere se un’azienda è inclusiva, in particolare rispetto a quelle che in letteratura vengono definite “differenze visibili”. Rimangono, però, altre differenze non immediatamente identificabili – le differenze “invisibili” appunto – che sfuggono a questo primo indice (pensiamo, per esempio, alle differenze religiose).
Un secondo strumento da utilizzare sono i documenti formali prodotti da un’impresa: ad esempio, all’interno del Sustainability Report vi è, di norma, una sezione dedicata agli stakeholder, in cui è possibile non solo reperire dati riferiti alla demografia di un’impresa, ma comprendere anche quali iniziative e azioni siano state messe in campo da quest’ultima per favorire la partecipazione dei diversi gruppi interni.
Sebbene questi due indici ci permettano di ricostruire, almeno parzialmente, l’impegno di un’impresa sul tema D&I, il prof. Monaci ha sottolineato che non sono sufficienti: essi, infatti, ci permettono di valutare l’eterogeneità interna di un’azienda, ma sono poco informativi riguardo alla gestione della diversità. Un’organizzazione può essere varia al suo interno, ma non impegnarsi attivamente nel riconoscere le differenze né tantomeno nel valorizzarle.
Ecco allora perché è necessario introdurre altri due indicatori, la cui analisi rimane tuttavia più complessa, in quanto richiede una maggiore conoscenza dell’organizzazione che stiamo analizzando.
Il primo riguarda la strategia organizzativa; in particolare, possiamo chiederci: vi è allineamento tra gestione delle diversità in azienda e investimenti strategici? Per esempio, un’azienda privata che vuole realizzare partnership con enti pubblici sta dimostrando, al proprio interno, un’apertura nei confronti di persone con questo background?
Il secondo indicatore è la condivisione interna, dunque l’allineamento dei diversi livelli organizzativi rispetto a iniziative e investimenti intrapresi sul fronte D&I. Questo aspetto comunicativo risulta fondamentale nella creazione di un contesto lavorativo coeso e motivato.
Naturalmente, come ha sottolineato anche Massimiliano Monaci, la creazione di una cultura inclusiva “non è affare di un giorno”: richiede tempo, investimenti, energie. Speriamo però, con questo breve articolo, di avervi fornito una chiave di lettura non solo del nostro eBook (che comunque vi invitiamo a leggere!), ma per decodificare in maniera critica e consapevole ciò che avviene tutti i giorni nei contesti di cui siamo parte.
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