Da quasi tre decenni stiamo assistendo ad una contrazione della presenza dello Stato in tutti gli ambiti della società. A questo meccanismo è corrisposta una parallela disaffezione dei cittadini rispetto alla rappresentanza politica, coincisa con la voglia di mettersi in moto attraverso organizzazioni spontanee costruite attorno a uno specifico tema: il civic engagement. Siamo davanti a una fase in cui alla “società liquida” teorizzata da Bauman consegue una perdita di fiducia nelle istituzioni che si rispecchia nei dati pubblicati dal Pew Research Institute[1]. La ricerca pubblicata dal celebre think tank statunitense, che ha coinvolto 27 Paesi con l'intento di misurare il grado di soddisfazione dei cittadini rispetto alle istituzioni democratiche, ha fotografato un contesto che conferma quanto esposto all’inizio di questo articolo. Fatta la media tra tutti i dati raccolti dallo studio emerge che il 51% deli intervistati si dichiara insoddisfatto delle istituzioni mentre il 45% è soddisfatto di esse. Un dato apparentemente equilibrato ma che rivela una forbice ben più ampia se si considerano Italia, Spagna e Grecia ovvero dove questa sfiducia raggiunge il 70% del campione. Al cittadino intraprendente, che talvolta diviene imprenditore, corrisponde una nuova realtà, l’impresa che diventa a sua volta cittadino, interessandosi attivamente delle tematiche del territorio in cui è collocata e della comunità con la quale interagisce. Il raggio d'azione sembra quindi allargarsi andando ben oltre la platea dei classici stakeholder.
La corporate citizenship è la trasposizione sull’impresa del concetto di cittadinanza, con gli obblighi ed i diritti correlati e circoscritti alle attività economiche che l’organizzazione realizza sul territorio di una determinata comunità.
Si tratta di un concetto facilmente riconducibile alla CSR che enfatizza l’obbligo in capo all’organizzazione di sostenere e cooperare con le autorità per il benessere generale e la giustizia sociale[2]. Questa definizione prende vita e diviene un’aspettativa concreta da parte dei cittadini che dall’impresa si attendono benefici sul territorio. Lo conferma anche l’Edelman Trust Barometer[3] secondo il quale il 78% degli italiani (+12 punti rispetto al 2018) crede nel ruolo sociale delle aziende. Infatti, il 66% (+5 punti rispetto al 2018) crede che coloro che rivestono ruoli dirigenziali debbano puntare decisi verso il cambiamento senza aspettare il decisore pubblico. Alla luce di quanto scritto è evidente che la CSR non è solo una buona pratica aziendale, ma è qualcosa di desiderato dalla comunità in cui un’azienda opera. L’organizzazione deve quindi dotarsi degli strumenti adeguati dimostrando sensibilità alle tematiche ambientali e sociali proprio come farebbero quei cittadini attivi su un determinato tema. Non farlo, significherebbe porre le basi per un conflitto improduttivo e dannoso per l’azienda stessa, la quale attiverebbe un meccanismo di mobilitazione riconducibile al civic engagement.
Di Miro Scariot
NOTE
[2] Freeman R.E., e Werhane P.H., “Corporate Responsibility”, in R.G.F.a.C.H.Wellman, ed., A Companion to Applied Ethics, Blackwell Publishing Group, Oxford.
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